domenica 23 marzo 2008

Recensione di Maurizio Schoepflin

Renato Besana, milanese, opinionista del quotidiano «Libero», ha scritto anche su altre importanti testate, quali «Il Giornale» e «Il Tempo».

È un uomo in rivolta, un innamorato deluso dell’Italia. Lo si capisce dal titolo del libro che l’editore Solfanelli gli ha pubblicato di recente: "Sconcerto italiano. Diario di un paese impossibile". Besana, peraltro non nuovo a prove letterarie, ha condensato in questo testo la sua analisi appassionata della realtà del nostro Paese, un’analisi irriverente e provocatoria, che ripercorre le principali vicende del Novecento e ne coglie il legame con la storia recente.

Besana parla di fatti e di personaggi passati e attuali, e a nessuno risparmia i propri giudizi sarcastici e taglienti, tanto da rimanere probabilmente inviso sia alla destra che alla sinistra. Riportiamo, tanto per dare un saggio, alcuni brevi passi, dai quali ci si può rendere facilmente conto del tono disincantato e provocatorio del libro.

Scrive, tra l’altro, l’autore: «I cantanti, ormai, fanno i predicatori, mentre i protagonisti del cinema dettano la linea e i comici agitano le piazze, reali o virtuali: sono loro i nuovi guru postideologici»; «gli intellettuali più riveriti sono quasi sempre maggiordomi zelanti, pronti alle battaglie più aspre, beninteso a favore di chi comanda »; «il salutismo imperante costituisce del resto una subdola forma di moralismo. Lascia intendere che la morte fisica - abolita ogni trascendenza - non rientri nell’ordine naturale, ma sia la conseguenza d’un comportamento sbagliato, d’una colpa».



Maurizio Schoepflin

Giornale di Brescia, 22/03/2008

sabato 22 marzo 2008

Renato Besana, un uomo in rivolta che racconta lo «Sconcerto italiano»

Renato Besana, milanese, opinionista del quotidiano «Libero», ha scritto anche su altre importanti testate, quali «Il Giornale» e «Il Tempo».
È un uomo in rivolta, un innamorato deluso dell’Italia. Lo si capisce dal titolo del libro che l’editore Solfanelli gli ha pubblicato di recente: "Sconcerto italiano. Diario di un paese impossibile". Besana, peraltro non nuovo a prove letterarie, ha condensato in questo testo la sua analisi appassionata della realtà del nostro Paese, un’analisi irriverente e provocatoria, che ripercorre le principali vicende del Novecento e ne coglie il legame con la storia recente.
Besana parla di fatti e di personaggi passati e attuali, e a nessuno risparmia i propri giudizi sarcastici e taglienti, tanto da rimanere probabilmente inviso sia alla destra che alla sinistra. Riportiamo, tanto per dare un saggio, alcuni brevi passi, dai quali ci si può rendere facilmente conto del tono disincantato e provocatorio del libro.
Scrive, tra l’altro, l’autore: «I cantanti, ormai, fanno i predicatori, mentre i protagonisti del cinema dettano la linea e i comici agitano le piazze, reali o virtuali: sono loro i nuovi guru postideologici»; «gli intellettuali più riveriti sono quasi sempre maggiordomi zelanti, pronti alle battaglie più aspre, beninteso a favore di chi comanda »; «il salutismo imperante costituisce del resto una subdola forma di moralismo. Lascia intendere che la morte fisica - abolita ogni trascendenza - non rientri nell’ordine naturale, ma sia la conseguenza d’un comportamento sbagliato, d’una colpa».

Maurizio Schoepflin
Giornale di Brescia, 22/03/2008

mercoledì 19 marzo 2008

E SE IL POPOLO E LA SINISTRA NON COINCIDONO?

In “Sconcerto italiano” il giornalista Renato Besana ricostruisce le vicende politiche del nostro paese dal ’43 a oggi evidenziando i colpi di Stato democratici...

Qual è il clou per una democrazia? La risposta è semplice quasi automatica: le elezioni. Anticipato o meno che sia, il voto dei cittadini segna il destino di un intero paese. Sarà la maggioranza numerica a decidere per le sorti di una comunità, fino a quando appunto metodi e valori democratici resteranno in vigore. Ma se a risolvere quel che c’è da risolvere non fosse il parere della gente, bensì qualcosa come moti di piazza o intrighi di palazzo (cioè tecniche tipicamente non-democratiche)? Inizia in questo modo inquietante l’ultimo libro di Renato Besana, "Sconcerto italiano" (Solfanelli, pp. 112, euro 9). Che non è un giallo politico come qualcuno sarebbe indotto a pensare bensì un “semplice” saggio di storia politica del nostro paese con brevi identikit dei primi della classe (Montanelli, Craxi e altri). E mica le sorprese finiscono qui. L’autore – giornalista milanese che in Rai si occupa di programmi culturali – azzarda infatti che negli ultimi cinquant’anni, ogni volta cioè che il centrosinistra o le semplici forze autoproclamatesi progressiste, sono andate al potere, la democrazia non ha funzionato come doveva. E le verifiche, quanto mai opportune, non tardano ad arrivare.

A parte l’oramai tristemente nota estate del ’43 (a far cadere vent’anni di fascismo, che tuttavia democrazia non era, è un colpo di Stato), il merito della vittoria della repubblica sulla monarchia pare sia stato più dei brogli e dei pasticci dei “nuovi” politici e meno dello spirito repubblicano. Altra mitica estate italiana: quella del 1960. I postfascisti sono a due passi dalla “legittimazione”. Ma all’altra metà del Paese non va troppo bene. Morale? In men che non si dica, i figli del Sol dell’avvenire tirano su dal pozzo dei desideri la bandiera dell’antifascismo. Oltre ai disordini, ai morti e ai feriti, l’Italia ci guadagna il centrosinistra con annessi e connessi.

Poi, negli anni Settanta, nasce il mito della sinistra alternativa che ci avrebbe accompagnato fino ai giorni nostri. L’anno scorso assistetti ad un comicissimo litigio fra due sinistre: quella del sinistrese anni Settanta (signori col sorrisetto di chi se la passa bene, con jeans scolorito, maglietta sportiva e barba) e quella rivoluzionaria dei giorni nostri (giovanotti dalla mise più studiata ma a corrente alternata: irosi e semidepressi). Militanti o ex militanti che si sfidavano a colpi di: «La vera rivoluzione l’ho fatta io!» «No… la farò io…», e perline varie.

Dieci anni dopo il ’68, scrive Besana, c’è il delitto Moro, evento che «apre la strada alla solidarietà nazionale, l’eufemismo che descrive l’ingresso dei comunisti nell’area del potere, anche se non ancora in quella di governo». Iniziano poi gli anni Ottanta, dopo la parentesi craxiana, che amico del Pci proprio non lo è, e c’è un ennesimo colpo di Stato, quello che anche i più giovani ricordano: Mani Pulite. La strada sembra finalmente aperta a un fine Millennio d’impronta progressista: Occhetto, la gioiosa macchina da guerra, D’Alema, Veltroni e la restante parte dell’“allegra” brigata, cominciano a sentire le farfalle nello stomaco: sono lì lì per entrare nella stanza dei bottoni e restarci (a vita). Ma l’uomo di Arcore, l’allora “sua emittenza” Silvio Berlusconi, non si rassegna. In poco tempo, grazie al vuoto prodotto dalla falce giudiziaria, mette su un partito interclassista (popolo delle partite Iva, classe operaia, ceti medi: impiegati pubblici e privati, professionisti e giovani che hanno voglia di fare) e lo abbellisce con la prospettiva di un nuovo sogno (anzi miracolo) italiano. In un colpo solo cambia due cose: la politica italiana e lo stesso linguaggio politico (vero Veltroni?). E non è il solo, per fortuna. Il glorioso Msi compiuto un percorso di quasi mezzo secolo, sta per trasformarsi in An, adeguandosi ai tempi. E la Lega di Bossi-l’arrabbiato invece, ha imposto a tutt’Italia la gravità della “questione settentrionale”. Le regioni ricche del nostro paese sono quelle che, a conti fatti, ci rimettono di più dalla cattiva amministrazione dell’“azienda Italia” (leggi: sperperi e assistenzialismo).

Grazie soprattutto a queste tre forze che hanno qualcosa di nuovo da raccontarci nasce, negli anni Novanta, il “polo della libertà”. E i governi Berlusconi (1994 e 2001), sono gli unici, scrive Besana, espressione autenticamente popolare e che «hanno cambiato il quadro politico» pur non essendo «imposti da disordini, maneggi e congiure. Li hanno voluti gli italiani, che hanno fatto di testa loro». Vorrà pur dire qualcosa no? Ma cosa ci si attende(va), questo è il punto, dai leader di questa nuova Italia? La risposta la si può trovare, ancora, fra le pagine del libro. Ed è una risposta invero originale per la nostra “epoca”. Beh, che innanzitutto facciano a pezzi le catene del “politicamente corretto” e che cancellino i nuovi must dei tempi moderni. Sembra facile vero? Ma è giusto non farsi illusioni: non lo è di certo.

Marco Iacona
Secolo d'Italia, 19/03/2008